di Ermanno Olmi con Hristo Jivkov (Giovanni de' Medici), Sergio Grammatico (Federico Gonzaga), Sandra Ceccarelli (Nobildonna mantovana)
1526; gli ultimi giorni e le ultime imprese di Giovanni de' Medici, eroico e intransigente condottiero papale che tenta di sbarrare il passo verso Roma agli Alemanni: la sua tattica, attaccare senza tregua il nemico persino di notte (allo scopo fa brunire le armature dei suoi uomini, guadagnando il soprannome di Giovanni dalle Bande Nere) riuscirebbe senz'altro vittoriosa se il Gonzaga non fornisse agli Alemanni la preziosa artiglieria, vera novità dell'epoca, che ucciderà Giovanni e permetterà il famoso Sacco di Roma.
Giovanni dalle Bande Nere non era un uomo del suo tempo: da un lato aveva ideato una tattica militare avveniristica, dall'altro non concepiva l'uso delle armi da fuoco, che proprio in quegli anni stavano cambiando il concetto di battaglia e di eroismo individuale, come evidenziato da Ariosto in un passo dell' "Orlando Furioso" e ricordato da una citazione di Tibullo a inizio film; ambivalente, animalesco e igienista insieme, quest'uomo non poteva che soccombere alla Storia. Del resto, la vicenda narrata mantiene sempre un'atmosfera sommessa, "piccola": il mondo è un'eco lontana ma incombente, di cui si ha notizia solo attraverso dispacci militari, alle alte sfere del comando, o privati, alla moglie di Giovanni. Olmi riprende invece la contraddizione dell'epoca, vista "in grande", dedicando molto spazio sia alla fatica fisica dei soldati sia alla fabbricazione di schioppi e cannoni: sicuramente le sequenze più riuscite del film, che non riesce ad essere appassionante fino alla fine; durante la lunga agonia di Giovanni difatti cade la tensione e cede il passo, ebbene sì, alla noia... Lo stoicismo del protagonista si fa esagerato, i flashback riguardanti la storia d'amore con la nobildonna non riescono ad approfondire quest'ultimo personaggio; peccato, perchè l'ansia con cui si attende la fine del film può farne dimenticare gli altri meriti.
Vera Brozzoni
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