di Patrice Chéreau,con Mark Rylance (Jay), Kerry Fox (Claire), Timothy Spall (Andy)
Jay e Claire si incontrano ogni mercoledì a casa di lui per fare l'amore e nient'altro; non sanno nulla delle rispettive vite, non vogliono saperlo, vogliono solo trovare sollievo nel corpo dell'altro. Quando Jay, rompendo un patto non scritto, cercherà di conoscere la vita di Claire, scoprirà che lei ha un marito e un figlio; è l'inizio di un inseguimento reciproco che determinerà la fine del loro rapporto.
Immersi in colori lividi che li fanno somigliare a quadri di Schiele o di Bacon, i personaggi ci appaiono come spettri fin troppo incarnati; frammenti di un'umanità disgregata, sconnessa, non vogliono arrendersi ad un freddo individualismo di facciata che naturalmente cela un immenso bisogno di amore. Ma ci si può fidare dei sentimenti? Siamo sicuri che non ci voltino le spalle nel momento peggiore, trasformandosi in qualcosa che non avevamo previsto? In ogni caso, volenti o nolenti, è alle emozioni che si affidano Jay e Claire per vivere: si curano col veleno. La difficoltà ad ammettere con se stessi e con gli altri che cosa si vuole davvero è un male diffuso, in questa Londra dal cielo perennemente sans soleil; tuttavia tale vuoto "mi ferisce, ma non mi uccide", come urla Claire; la sua amica Betty (Marianne Faithfull, una che se ne intende...) parla di morte e rinascita; Victor, amico di Jay, alla fine "inizia a pensare a se stesso"; nessuno vuole perire e in effetti nessuno perirà, anche se sarebbe fuori luogo intravedere un barlume di speranza, quanto piuttosto l'estremo porto della cocciutaggine. Il teatro, tema finalmente usato senza ombra di intellettualismo, è lungi dal diventare metafora della vita: è la vita a straripare dal ruolo che il teatro le concede, gli attori della compagnia in cui recita Claire sono prima di tutto persone (destinate perciò a fallire come attori) la cui umanità non riesce a nascondersi; la durezza del film sta proprio nella sua assenza di alternative:l'angoscia e il dolore esistono, rimangono e basta.
Vera Brozzoni |